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QUANDO LA CONSAPEVOLEZZA DEI NOSTRI PENSIERI E DELLE NOSTRE EMOZIONI È UN’ARMA MOLTO POTENTE CONTRO


Tempo fa ho avuto il piacere di seguire un familiare, in particolare una figlia di un malato di demenza, che tra le diverse difficoltà sentiva su di sé un peso importante legato al giudizio degli altri.


Mi ricordo benissimo ancora oggi ciò che mi disse, con lo sguardo basso e gli occhi pieni di lacrime:<<Io voglio essere sincera. Ho paura di uscire con il mio papà perché temo ciò che possano pensare gli altri. Quando lo porto al parco a fare una passeggiata, temo per qualche suo comportamento, non perché non so cosa fare, con tanta pazienza ci riuscirei, ma perché ho paura che gli altri non capiscano. Non voglio che gli altri pensino che il mio papà sia matto>>.


Un pensiero molto intenso e pesante, soprattutto a livello emotivo.


Non era la prima volta che un familiare mi parlasse in quella maniera. Anzi, sia in sessioni individuali sia nei gruppi che conduco, è una delle tematiche che più pesa emotivamente e che blocca in tanti aspetti della vita del caregiver.


Quando si hanno questi timori, la soluzione che si adotta e che viene facile è la cosiddetta “ritirata”, cioè la persona evita di fare ciò che teme. Quindi, di conseguenza, se il timore è di uscire con il malato di demenza, si farà di tutto per non farlo, oppure si farà (molto raramente) ma in orari strani, quando cioè la probabilità di incontrare altra gente è molto bassa, ma soprattutto con uno stato d’animo negativo, fatto di ansia e pensieri minacciosi.


Come si evince facilmente quindi, la soluzione che comprensibilmente adotta il familiare diventa essa stessa il problema, perché incide sul suo benessere e su quello dell’ammalato, oltre che sulla relazione stessa.


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Come affrontare questo problema? È una domanda molto interessante, a cui è necessario rispondere prendendo in considerazione sicuramente la specificità di ogni caso e soprattutto considerandolo in maniera globale. Malgrado ciò, come primo passo per superare questa difficoltà, propongo sempre al familiare un esercizio di introspezione, rivolgendo a se stesso le paure che proietta sugli altri. Due esempi, che riprendono il caso di prima: - Temo che gli altri possano criticare il comportamento di mio padre: “Io, cosa penso del comportamento di mio padre? - Ho paura che gli altri credano che mio padre sia matto? Ma io cosa penso. Credo anch’io che sia matto? Quali sono le mie credenze a riguardo?


In sostanza, l’esercizio mira a creare maggiore consapevolezza in noi, in particolare dei nostri pensieri e delle nostre emozioni, spostando quindi l’attenzione dall’esterno (gli altri) all’interno (noi).


Sono i nostri pensieri che producono i nostri timori: spesso gli altri non c’entrano nulla!


Ascoltare se stessi, entrare in contatto con le proprie fragilità e paure e stare insieme a loro quindi diventa uno degli strumenti più potente per superare la paura del giudizio degli altri e soprattutto per creare la condizione per prendersi cura di sé e dell’ammalato.


Come diceva Anais Nin: “Andare sulla luna, non è poi così lontano. Il viaggio più lontano è quello all’interno di noi stessi”

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